Si è compiuto il primo trapianto di cuore di maiale su un essere umano. Ancora una volta agli altri animali tocca il ruolo di nostri “servitori”. Ma non tutti la pensano così. Francesco Cortonesi ci accompagna in alcune riflessioni dobbligo.
L’operazione
La notizia che presso l’Università del Maryland Medical Center di Baltimora, sia stato effettuato il primo trapianto di cuore di maiale geneticamente modificato ha occupato, nei giorni scorsi, le prime pagine di molti giornali.
D’altra parte è dal 1979 che esperimenti di questo genere si susseguono senza alcun esito significativo, e il fatto che questa volta si sia provato a inserire su un essere umano, (tale David Bannet, un operaio americano che nei mesi scorsi si era improvvisamente ammalato di cuore e, a quanto pare, non era idoneo a ricevere un cuore umano) il risultato di una elaborazione genetica sembra offrire maggiori possibilità di successo.
Un successo che sembra essere atteso dal mondo intero, visto che, ad esempio, solo negli Stati Uniti sono circa 120.000 le persone che hanno bisogno di organi sani e, in media, 20 di loro muoiono ogni giorno aspettando che uno diventi disponibile.
E il maiale?
Naturalmente, davanti a questi numeri, il fatto che sia necessario sacrificare la vita di un maiale per salvare un uomo, appare (all’essere umano) del tutto irrilevante. A monte però sarebbe forse giunta l’ora di fare alcune riflessioni.
Il fatto che gli animali siano trattati come capanni degli attrezzi, dove all’occorrenza basta aprirli (letteralmente) e prelevare ciò che ci serve, ribadisce, se mai ancora ce ne fosse bisogno, un atteggiamento di predominio sul più debole che, a conti fatti, è alla base di tutti i mali del mondo.
Vite di scarto
S’insiste cioè nel creare quelle che Zygmunt Bauman chiamava “vite di scarto”, ovvero quelle vite che possono essere trattate come merce per far stare in piedi gli ideali traguardi che ci prefiggiamo.
È chiaro che in questo patto faustiano che stipuliamo con un’utopia, non prendiamo in considerazione la clausola, rigorosamente scritta in minuscolo in fondo al contratto, che, inevitabilmente, anche noi un giorno saremo destinati a diventare “vite di scarto”.
Viene da chiedersi quindi che senso abbia continuare a voler esercitare il nostro potere, dichiarando quella che possiamo chiamare “guerra agli animali”, quando questo atteggiamento non solo mostra la nostra pochezza umana, ma è persino destinato, un giorno più o meno lontano, a rivoltarcisi contro.
Cento vite in cambio di una
Nei cinque anni precedenti a questa operazione sono stati sacrificati circa 50 maiali e 50 babbuini, in uno scambio di cuori che è servito per arrivare a trovare la tecnica giusta dell’impianto sull’essere umano. Cento vite, considerate depositi organici di cuori, per cercare, con scarsissime possibilità di successo, di salvarne una.
Ovviamente, per la maggior parte delle persone (che per altro si nutrono di animali) il confronto fra cento vite di maiali (e scimmie) e quella di un umano non è neppure proponibile, ma non occorre chissà quale sforzo di fantasia per capire che basta cambiare posizione all’asticella e modificare qualche parametro per trovarsi al di sotto invece che al di sopra della linea di salvezza. È una storia vecchia come il mondo.
Modificare i nostri parametri
Siamo davanti a una questione politica. Comprendere che non esiste alcun diritto di soggiogare il prossimo sino a strappargli la vita in nome della convinzione che noi veniamo per primi, dovrebbe essere una nostra priorità. Gli animali, come tutti gli esseri viventi, hanno diritto a vivere la loro vita senza essere geneticamente modificati e poi uccisi e i loro organi espiantati.
È chiaro che non possiamo rendere applicabile questo semplice e lapalissiano concetto di base, se non modifichiamo i nostri parametri. Oggi più che mai però, abbiamo la possibilità di seguire strade alternative al dominio, siamo in grado, ad esempio, di produrre carne dalle cellule senza ammazzare nessun animale e siamo arrivati a questo in pochissimo tempo.
Ci siamo arrivati semplicemente quando abbiamo compreso (ma non ancora ammesso) che gli allevamenti sono insostenibili. Le nostre enormi potenzialità sono ormai inequivocabili, ma queste potenzialità saranno veramente utili solo quando la presa di coscienza che il dominio è ingiusto e fuorviante sarà effettiva.
Nel frattempo miliardi di animali vengono uccisi per essere mangiati e milioni subiscono torture indicibili nei laboratori, senza che qualcuno che conta abbia ancora seriamente preso in considerazione il fatto che questa non è un’uscita.
Francesco Cortonesi
Progetto Vivere Vegan