Ciò che deriva dagli allevamenti e che mangiamo oggi rappresenta il risultato di costrutti sociali erroneamente veicolati. Dietro una bistecca si cela un mondo ancora sconosciuto a molte persone. Gli allevamenti nascondono delle verità non molto facili da digerire, che per vari motivi non vengono mostrate facilmente e che toccano, direttamente o indirettamente, tutte le realtà della nostra vita.
Il carattere specista
La prima realtà che va analizzata riguarda direttamente il nostro comportamento, guidato da ideologie speciste che ci portano a ritenere “normale” e per nulla errato rinchiudere animali innocenti per tutta la loro vita. Si assiste a scenari in cui gli animali sono confinati in spazi ristretti e insufficienti a soddisfare le loro necessità di base. A partire da gabbie, dove vi è una possibilità minima o inesistente di movimento, alla salute e igiene non rispettata, all’abuso di farmaci come antibiotici e ormoni per evitare malattie derivanti da queste condizioni.
Il motivo di tutto ciò risiede proprio nella convinzione che pone l’essere umano all’apice di una gerarchia del tutto inesistente e infondata, e che gli permette di pensare di essere superiore a qualsiasi altro animale non umano. Basandosi su questo, si sono costruiti immensi allevamenti dove maltrattare gli animali, per poi ucciderli e poterne usufruire.
Lo specismo è ciò che ci ha sempre guidati, e la cosa più preoccupante è che esso presenta le stesse radici del razzismo, dell’antisemitismo, dell’omofobia… Il problema è semplicemente che non viene preso abbastanza sul serio.
Questo ha portato letteralmente alla creazione di “fabbriche di carne” dove l’oggettivazione e la strumentalizzazione degli animali è all’ordine del giorno. L’immagine di animali che saltellano felici su distese di erba è del tutto distopica ma che continua a mentire su una realtà totalmente opposta. Chi incolpare allora? Siamo tutti colpevoli di ciò che accade, a partire dai consumatori e dalla poca informazione riguardo l’argomento, alle pubblicità costruite su vere e proprie menzogne.
A tal proposito, un libro molto illuminante sull’argomento è “Il maiale non fa la rivoluzione. Manifesto per un antispecismo debole” (2013), di Leonardo Caffo. Questo saggio di filosofia vuole essere una riflessione per ridefinire gli obiettivi del movimento di liberazione animale attraverso la definizione e la pratica dell’«antispecismo debole».
L’impatto ambientale
Gas serra
Una delle conseguenze più sottovalutate degli allevamenti riguarda proprio il loro impatto sul cambiamento climatico, in quanto contribuiscono all’aumento del riscaldamento globale, posizionandosi tra le prime cause di quest’ultimo.
Gli allevamenti sono responsabili dell’emissione in atmosfera di ben il 51% dei gas serra (GHG), soprattutto di anidride carbonica, metano e protossido d’azoto. Di tutti i gas serra di origine umana, almeno il 21% della CO2 deriva dalla produzione animale e, nel caso del metano, il 72% derivante da attività umane emesso in atmosfera proviene sia direttamente dai processi digestivi dei ruminanti (bovini, ovini, caprini) che dall’evaporazione dei composti presenti nel letame.
Per quanto riguarda il monossido di azoto invece, potremmo dire che gli allevamenti contribuiscono per il 65% alle emissioni totali di questo gas, e per il 75-80% di quelle dovute alle attività agricole. Esso proviene dai fertilizzanti chimici utilizzati. L’evaporazione dei composti azotati dai fertilizzanti e dal letame, come seconda fonte, è responsabile della formazione di monossido di azoto, uno dei più potenti gas serra.
Dagli anni ’70 a oggi la produzione mondiale di carne è triplicata, così come il numero dei capi allevati. Secondo le ultime stime contenute nel rapporto World Livestock 2011: Lvestock in food security pubblicato dalla FAO la tendenza è in crescita e la richiesta di carne potrebbe aumentare del 73% entro il 2050. Dati allarmanti strettamente connessi alle scelte dei consumatori.
Se non si consumasse carne, ci sarebbe un visibile cambiamento anche per quanto riguarda i cambiamenti climatici. Inoltre, riusciremmo a diminuire il problema della fame nel mondo. Com’è possibile che si riesca a sfamare 60 miliardi di animali destinati al macello e non tutti i 7 miliardi di persone ?
Deforestazione
Anche il problema della deforestazione è strettamente connesso agli allevamenti. Innanzitutto perché sempre più alberi vengono tagliati per far posto ad aree destinate a questi allevamenti. Riducendo queste distese vegetali, ci saranno meno alberi capaci di svolgere la fotosintesi clorofilliana, catturando l’anidride carbonica presente nell’aria e rilasciando ossigeno.
Secondo un Rapporto FAO del 2006, il 70% delle aree deforestate in Amazzonia sono occupate da pascoli, il resto da coltivazione di foraggio. L’80% della soia coltivata al mondo viene utilizzata come mangime negli allevamenti di animali e, solo negli allevamenti italiani, in un anno si sono consumate più di 4 milioni e mezzo di tonnellate di soia.
Sempre secondo il Rapporto FAO, inoltre, il 26% delle terre libere da ghiacci sulla Terra è occupato da pascoli, il 33% dei terreni agricoli è occupato dalla coltivazione di foraggio e un terzo dei cereali raccolti sono impiegati come foraggio per gli animali. Ogni anno, nel mondo, si distruggono 13 milioni di ettari di foresta.
Inoltre, una volta utilizzati, i terreni diventano del tutto sterili. Sarebbe rilevante capire che, chi consuma carne, contribuisce indirettamente alla deforestazione dell’Amazzonia.
Cosa fare quindi?
Scegliere di vivere nel rispetto dei principi vegan aiuterebbe profondamente non solo gli altri animali ma anche l’ambiente, abbattendo i costrutti specisti che stanno alla base della società odierna. Ogni anno nel mondo vengono allevati 70 miliardi di animali e ogni ora ne vengono uccisi più di 6 milioni per il cibo. Basti pensare invece che, scegliendo un burger 100% vegetale, si occupa dal 93% al 95% di terreno in meno rispetto a quello usato per un hamburger di manzo, e si consuma una quantità di acqua inferiore del 75% al 95%.
Il documentario Netflix “Cowspiracy: The Sustainability Secret” (2014) di Kip Andersen, analizza proprio questo argomento in modo molto completo e incisivo e potrebbe costituire un primo passo verso una maggiore consapevolezza.
Serena Gentile
Progetto Vivere Vegan