“Non è la montagna che conquistiamo, ma noi stessi” (Sir Edmund Hillary, 1919-2008)
Incontriamo Kuntal Joisher, il primo scalatore vegan al 100%. A ogni scalata porta con sé l’amore per gli animali, per il padre malato e per il Nepal. Kuntal ci ha raccontato di queste sue passioni e di come è riuscito a scalare l’Everest senza fare del male a nessun animale.
Sono la persona meno sportiva che conosco, e la montagna non mi piace: è fredda, faticosa, silenziosa. Lo so, è un giudizio superficiale che trovo falso anche da sola; infatti mi pento subito e ripenso al mio primo campeggio a La Thuile, al motoraduno dello Stelvio, al Natale sul Kilimanjaro, e ritiro quello che ho detto! Nonostante questo, occuparmi di uno scalatore non era in cima alla mia lista delle priorità. Eppure…
Eppure Kuntal ha risposto subito alla mia email, gentile e disponibile. Così ho voluto documentarmi per chiedergli qualcosa di (possibilmente) intelligente e di (possibilmente) nuovo. E ho scoperto che quest’uomo e i suoi sogni hanno più cose in comune con me di quanto potessi pensare. Prima fra tutti, la scalata che lo ha portato sul tetto del mondo è iniziata il giorno del mio compleanno! E’ durata 40 giorni, come ogni “deserto” che si rispetti, perché il corpo, e la mente, hanno bisogno di abituarsi piano piano. E perché lui non è, solo, uno scalatore: Kuntal Joisher è un sognatore, un attivista, uno scalatore vegano.
La trasformazione da informatico vegetariano a scalatore vegano
Ingegnere informatico trasferitosi a Los Angeles per finire gli studi e lavorare, e tornato in India a causa della malattia del padre, oggi vive a Mumbai. Nato vegetariano nel 1980, solo in America Kuntal acquisì una coscienza vegana, regalò ai poveri tutto ciò che di origine animale aveva in casa, e da 17 anni è un convinto difensore degli animali. Ma lui non si sente tanto un animalista quanto una persona che ha a cuore la giustizia.
Come è nata la passione per le montagne?
L’Himalaya, o santa madre dell’universo, come la chiamano i tibetani, ha la stessa età (60 milioni di anni) e la stessa struttura delle Alpi, è solo molto più grande, e pare che cresca circa 4mm ogni anno… L’Everest si trova appena sotto l’altitudine a cui volano i jet, l’aria è molto rarefatta, tanto che l’unico animale che vi sopravvive è un piccolo ragno saltatore che si nutre degli insetti congelati portati dal vento. Però gli scienziati continuano a trovare lassù resti di animali marini di 450 milioni di anni fa.
Nel 2009 Kuntal andò per la prima volta in gita con la moglie alle pendici dell’Himalaya, e fu una epifania: “Mi sentii finalmente in pace con me stesso e provai una felicità infinita. Era uno stato mentale che non avevo mai provato prima. Mi sentii vivo – sentivo il rumore del mio respiro!!”. In pochi mesi, Kuntal partecipò a corsi di alpinismo in Patagonia e iniziò ad allenarsi e a prepararsi per la scalata dei suoi sogni: da bravo ingegnere sapeva che ci sarebbero voluti anni, prima di essere in perfetta forma fisica, e mentale!
Il primo scalatore vegano al 100% sull’Everest
Nel 2014 e nel 2016 Kuntal raggiunse le cime dei monti Manaslu (8163m) ed Everest (8848m), ma l’equipaggiamento era quello standard (piumino d’oca e guanti di pelle) e c’erano gli yak a fare il lavoro sporco. Lui però aveva promesso a se stesso che sul tetto del mondo ci sarebbe arrivato da vegano al 100%, e il 15 maggio del 2018, sulla cima del monte Lhotse (8516m) ha finalmente fatto sventolare una bandierina verde con la scritta “vegan”.
Il rischio di creare appositamente per lui, grazie a un contatto su Facebook, un equipaggiamento animal-free in grado di superare gli 8000m se lo è assunto Save the Duck, azienda di origini pisane che dal 2011 ha imboccato la via etica senza piume d’oca. La tuta imbottita di plumtech arrivò in elicottero al terzo campo: contro le raccomandazioni di mamma e moglie in primis, Kuntal partì senza ricambi per l’ultima parte del viaggio. Intrepido e incosciente, ma anche sicuro che la paura del freddo gli avrebbe fatto utilizzare i ricambi di piuma d’oca, se li avesse avuti a disposizione: “ebbene sì, ho rischiato grosso. Ho rischiato le dita delle mani e dei piedi. Ma è stato un rischio che ho voluto correre in nome dei miliardi di animali uccisi ogni anno per diventare cibo, abbigliamento, divertimento. Si può benissimo realizzare i propri sogni senza uccidere o sfruttare NESSUN animale!”. Nemmeno gli yak: lui e i suoi sherpa portavano tutto in spalla.
Le compagne di viaggio di tutti gli scalatori: la paura e la morte
L’emozione che spinge scalatori, turisti, curiosi a rischiare la vita è la paura: “se cado muoio”… In effetti, dal 1924 quasi 300 cadaveri sono ancora sparsi qua e là, irrecuperabili o dispersi. Paura della morte, dunque, compagna di tutti, di chi arriva in cima, di chi deve tornare indietro, e di chi ne rimane prigioniero. Si muore cadendo, travolti dalla Natura (vento, intemperie, valanghe, terremoti), e a causa dell’altitudine, perché a 7925m si entra nella “death zone”. Nel 1996 ricevetti una cartolina postuma dal quarto Campo: un amico mi aveva scritto la notte prima di arrivare sul tetto del mondo, diceva che quella era la notte più bella della sua vita. Fu anche la sua ultima notte. L’ipossia è democratica, non fa favoritismi; nel 2016 colpì Maria Styrdom, anche lei vegana. Kuntal ha dovuto insistere in più di un’occasione sul fatto che la collega non era morta a causa della sua scelta alimentare: “sono moltissimi gli scalatori che muoiono a causa del mal di montagna, non diciamo fesserie!” direbbe, se parlasse toscano. Anzi, parlando di alimentazione, solo gli onnivori hanno problemi gastrici e mal di stomaco in quota…
Cosa mangia uno scalatore vegano?
Anche se ci tiene a sottolineare che non ha molto interesse per l’alimentazione, la sua preparazione atletica richiede comunque molta attenzione. Di base, Kuntal segue una dieta super-sana, ma quando parte per le scalate si limita a una dieta “solo” vegana. Fino al Campo 2 riesce a nutrirsi di cibi freschi, dopodiché passa a integratori energetici e idratanti, pasti secchi e istantanei, frutta secca e – udite udite! – Oreo e CocaCola! Alla fine, gli servono 15.000 calorie, e siccome lassù non è facile né avere appetito né mangiare, va bene tutto…
I valori che guidano Kuntal
Anche se alimentazione e stile di vita non sono argomenti di fondamentale interesse per Kuntal, essi hanno influenzato la sua vita in maniera determinante: forse anche per causa loro suo padre soffre di una forma di demenza che ha determinato una inversione di ruoli in famiglia. Per questo, oltre che paladino degli animali, Kuntal è un testimonial di questa malattia, per sollevare tabù e diffondere consapevolezza. Pensa che sia importante riuscire a trovare un equilibrio fra le proprie responsabilità e i propri sogni: garantire amore, dignità e rispetto, ma riservare per sé lo spazio per fare ciò che si ama. Perché la malattia dei nostri cari non diventi una scusa per rinunciare a vivere la nostra vita.
Il terremoto in Nepal e l’imperativo di non aspettare mai il domani
Questi pensieri emersero insieme a Kuntal da sotto la valanga che, a causa del terremoto in Nepal del 25 aprile 2015, ricoprì il Campo 2 dell’Everest uccidendo 19 scalatori e sherpa. Nei giorni che seguirono, mentre si prodigava ad aiutare come poteva, capì che non esiste il domani, che i sogni dobbiamo realizzarli subito. A Katmandu, Kuntal entrò in contatto con la onlus Sunsar Maya, che aiuta i bambini orfani e poveri del Nepal: è da allora che, per raccogliere fondi a favore del Nepal e di Sunsar Maya, tiene conferenze in tutto il mondo ed espone le sue spettacolari fotografie.
La spiritualità: come la intende e come la esprime Kuntal Joisher?
Con la macchina fotografica Kuntal esprime la sua percezione del mondo, ne trasmette l’infinita bellezza, che si svela “quando salgo sulle montagne: vivo il momento, è quella la mia spiritualità”: non crede in Dio, non ha una religione, ma cerca costantemente di diventare una persona migliore, di abbandonare il proprio ego per impegnarsi per la sua famiglia, per gli animali, per la società e per il pianeta. George Mallory, alpinista morto sull’Everest nel 1924, a un giornalista che gli chiese perché volesse raggiungerne la cima, rispose: «Perché è lì». Lì, dove di notte, nel silenzio assoluto, verrebbe da incamminarsi lungo la Via Lattea…
Isabella Ciapetti
Progetto Vivere Vegan Onlus