Ogni essere vivente, umano ed animale, ha il diritto di vivere in modo dignitoso nel proprio ambiente naturale. In questo articolo si vede come l’uomo e gli animali sono considerati del tutto simili quando vengono maltrattati: perché non provare ad assimilarli a noi quando mangiamo, ci divertiamo, ci vestiamo?
Chissà se “il ‘68” è stato la conseguenza o l’origine di un risveglio delle coscienze che comprendesse anche gli animali; fatto sta che il 15 ottobre 1978 nella sede dell’Unesco alcune associazioni animaliste sottoscrissero la Dichiarazione universale dei diritti degli animali, perché venissero considerati esseri senzienti titolari di diritti. Questo documento proponeva un codice etico di rispetto verso gli animali e l’ambiente, ma credo che la sua importanza fosse che finalmente ci si assumeva una responsabilità, e il compito (non il desiderio) di garantire (o permettere) agli animali di vivere in armonia col (e nel) loro ambiente.
Il testo non aveva, né ha, valore giuridico. Ma del resto ne hanno poco anche le leggi con valore giuridico. Come la Dichiarazione universale dei diritti umani.
Art.5: “Nessun individuo potrà essere sottoposto a tortura o a trattamenti o punizioni crudeli, disumani e degradanti”
Il divieto di tortura si estende a ogni situazione, inclusi disordini interni guerre e catastrofi di ogni genere, ed è vincolante anche per gli Stati che non aderiscono ai trattati sui diritti umani. Eppure la tortura è regolarmente inflitta ancora oggi, e spesso si conclude con la morte. A leggere il rapporto annuale di Amnesty International si prova rabbia, sconforto, senso di impotenza e inutilità; fino a Natale, quando si rinnova l’iscrizione a Progetto Vivere Vegan, LAV, Lipu, Mago Sales, Mani tese etc, quando si portano le coperte nei canili e le torte ai derelitti, quando si adotta un bimbo, un anziano, un cane a distanza.
Per Amnesty, torturare significa infliggere intenzionalmente dolore o sofferenze gravi, e la comunità internazionale, e le Nazioni Unite, rifiutano categoricamente ogni atto in cui un essere umano attacca il corpo e/o la mente di un altro essere (umano). Su Wikipedia sono elencati i principali metodi di tortura utilizzati nel mondo, ideati nel corso dei secoli e perfezionati con l’uso. I più gettonati sono una trentina, e per quanto ripugnanti vengono regolarmente praticati, oggi. Anche sugli animali. Anche da chi gli vuole bene. Anche da chi non li mangia. Per esempio, ci siamo mai chiesti come muore una zanzara, chiusa in camera col Vape? Il tempo è relativo: in una dimensione zanzaresca l’agonia è lunghissima.
Qui scrivo cose molto brutte
Nei giorni scorsi ho raccolto quei trenta tipi di tortura trovati su Wikipedia e Amnesty: vengono praticati quasi tutti anche sugli animali, quasi sempre impunemente. Pestaggi, bastonature, frustate e percosse di vario genere sono all’ordine del giorno, non solo sulle serpi nei boschi.
Un metodo di tortura diffuso sono le scariche elettriche destinate a volpi e visoni, perché il sangue non rovini il loro bel pelo: il rosso ematico non si addice ai cappotti di pelliccia.
Gli orsi della luna sono costretti a nascere vivere e morire distesi a pancia in su in gabbie di metallo sospese, con un cannello attaccato alla schiena: il loro midollo lo comprano in Asia le fabbriche di afrodisiaci. Al confronto, le gabbiette dei cacciatori con i richiami per i fagiani sono robuccia.
L’isolamento prolungato, spesso in condizioni “disumane” e a temperature estreme, è talmente comune che ormai non ci facciamo quasi più caso, e così proliferano i canili lager e tanti allevamenti di animali di razza. Lo stesso vale per la privazione di acqua e cibo, del sonno, e per le umiliazioni – perché sì, gli animali provano vergogna.
Poi c’è lo stiramento: quando si abbandona un cane in autostrada, lui/lei corre fino ad aprirsi in due. Quando un topo resta attaccato alla colla, nel tentativo di liberarsi, si tratta di squartamento. Lo scorticamento invece è quello che fanno nei laboratori, per esempio sui conigli quando devono testare lo shampoo. Sono parole diverse ma significano tutte la stessa cosa: tortura.
“Ave Caesar, morituri te salutant”
Chissà cosa c’era, prima dei gladiatori, per far divertire gli imperatori. Poi le corride, i combattimenti fra cani e galli, le corse di cani e cavalli, il palio, le giostre. Come si può chiamarlo “divertimento”?
L’uomo si è sbizzarrito nel procurare il soffocamento degli animali in vari modi: quando ero piccola c’era chi portava i micini appena nati in parrocchia, dove c’era chi provvedeva ad affogarli nel pozzo, tanto poi si confessava – la Chiesa, così misticamente contraddittoria!
Grazie al nostro modo scriteriato di abitare il pianeta, stiamo sviluppando forme sempre più creative di soffocamento, così possiamo fare del male anche agli abitanti del mare sversando petrolio nel loro habitat, oppure lasciando che testuggini e balene si strozzino con la plastica in cui rimangono impigliate nuotando.
Qualche decennio fa si utilizzò il subdolo gas per eliminare un gran numero di persone. Oggi, perché i turisti moderni possano godere della natura incontaminata che vedono nelle cartoline, si trasformano settimanalmente i ristoranti dei resort in camere a gas, perché gli uccellini non possano avvicinarsi ai tavoli, non tirino il filo degli sgargianti pareo, e perché svolazzando in allegria diononvoglia scompiglino le acconciature pronte per l’acquagym.
Una forma variamente adottata per fare del male è quella che tocca la sfera sessuale in senso lato: ci sono tanti malati di mente che praticano varie forme di tortura su animali indifesi; fra queste, lo stupro è la più misericordiosa; Facebook dà il peggio di sé, quando permette di postare la cattiveria allo stato puro.
Il toro di Falaride
E poi c’è il fuoco, meraviglioso quando pensiamo al calduccio scoppiettante, alle caldarroste, al tiepido sole autunnale. Ma cosa provano le vespe nel nido quando gli si dà fuoco? E le aragoste quando bollono in pentola?
Il toro di Falaride era un contenitore cavo di metallo sotto al quale veniva acceso il fuoco in modo che diventasse una sorta di forno. Chi vi era imprigionato gridava a lungo, e a chi stava fuori sembrava di sentir muggire il toro – divertentisssssimo! La versione moderna del “toro” sono le automobili, dove genitori disfatti dal sonno e altri disgraziati dimenticano le creature a loro affidate, come bambini e cani. E come la mia gatta, Joy, che il 29 luglio è stata lasciata a cuocere a 37° per 17 ore dalla persona a cui l’avevo affidata. Ardo di rabbia, soffoco perché il senso di impotenza non mi dà pace.
Isabella Ciapetti
Progetto Vivere Vegan